COME TU MI VUOI: quando l'amore va oltre l'amore

07.03.2021

Articolo della nostra bravissima Dott.ssa Emanuela Venanzoni, psicoterapeuta della Gestalt Psicosociale e docente presso la Societá Italiana Gestalt, che ha brillantemente coniugato una decennale esperienza clinica sulla dipendenza affettiva e la letteratura scientifica disponibile. 


" I teneri sentimenti della dedizione maschile sono simili al brontolio di un giaguaro che

ha fra le zampe un pezzo di carne e non tollera essere disturbato"


Robert Musil nell' "Uomo senza qualità" descrive, senza troppi giri di parole, alcuni

uomini che fanno fatica a vedere le donne come soggetti emotivi e pensanti e non solo

come oggetti utilizzabili a loro piacimento. Questo è di sicuro un argomento spinoso e che

genera a volte molte generalizzazioni che racchiude tante sfumature non sempre facili da

cogliere.


Ho voluto iniziare con un titolo volutamente provocatorio e lasciare un punto interrogativo

perchè un pò di vita vissuta (non tantissima, ma un po' c'è!!), di letture, di seminari condotti

che riguardano la dipendenza affettiva, passando per il fenomeno del Gaslighting, mi porta

a pensare che alcuni che leggeranno questo articolo in qualche maniera possano già dare

una risposta, sia per quanto riguarda "la vittima", sia per quanto riguarda "il maschio".

Ed aggiungo, non sempre nel modo più lineare che ci possa aspettare.

Queste righe non vogliono essere un elemento letterario nè presuntuoso, nè illuminante su

questo tema, ma forse una riflessione che a volte mi capita di portare all'interno dei

seminari e cioè che la vittima, per quanto concerne il disagio provocato da una forte

dipendenza affettiva, non ha colpa di tutto ciò.


Le dinamiche di questa dipendenza sono raffinate e complicate e non sempre è facile fare

una sorta di diagnosi del disagio, spesso perchè neanche la persona se ne rende conto e

laddove iniziano ad emergere in lei elementi che le fanno comprendere che forse sta

amando troppo e che si trova coinvolta in un circolo vizioso, non sempre riesce ad

effettuare la fase del distacco che le permette di chiedere definitivamente aiuto a

qualcuno.

In tempi non sospetti questa forma di dipendenza era associata ad un amore travolgente,

assoluto, un pò da eroina ottocentesca, ma che nel tempo ha sempre più assunto la

connotazione della patologia, non entrerò volutamente in merito rispetto l'elenco di come

sono i dipendenti affettivi e delle loro classificazioni, ma mi ha sempre colpito in loro il

vissuto emotivo che si portano dietro fosse come un peso, un macigno, una catena come

disse una volta una mia paziente, legati a loro per tanto tempo.

Mi ha sempre impressionato questa forte dedizione verso questi partners il più delle volte

manipolatori, svalutanti, assolutamente incapaci di provare un' emozione, un affetto, che

con i loro atteggiamenti, tendono a svalutare la persona, il suo mondo ed il suo Essere più

profondo.


Le persone, e mi spiace constatare che per la maggior parte sono donne, vivono in uno

stato di completa dipendenza, svalutano ciò che di bello hanno, ciò che di meraviglioso

hanno costruito nel tempo, nella loro vita e non riescono più a guardarlo, ad osservarlo,

completamente assoggettate all'amore.


L'amore che diventa una droga, un comportamento addictive, tanto per essere tecnici, che

non lascia scampo e che logora il corpo, la mente, il loro mondo emotivo; quando arrivano

in terapia sono annientate, quasi alienate e portano con sè un grande vuoto ed un grande

senso di solitudine come se tutto quello che hanno fatto per l'Altro non avesse avuto nessun

significato. Si sentono sbagliate ed inutili ed estremamente fragili.


E' un vortice emotivo sottile, che si sviluppa nel tempo all'interno magari di relazioni

stabili, apparentemente normali, ma dove l'autostima della donna, viene continuamente

bersagliata ,annichilita, e dove l'adulazione nasconde potere e voglia di celare per sempre

la vera natura della persona. Ogni volta che mi sono trovata con loro, mi è arrivato un

grande senso di paura, paura di sbagliare, paura di non essere all'altezza, un senso di colpa

molto forte; derivandolo in alcune situazioni dal semplice fatto che qualche volta hanno

perfino provato ad alzare la voce ed alcune si dicono " forse dovevo fare come diceva mia

madre e cioè stare zitta e non fare nulla, mi sono messa a fare la rivoluzione ed invece

guarda che ho combinato". E questo mi rammarica, mi rende profondamente vicina a loro,

a loro che talvolta non hanno parola, non hanno voce, che gridano in silenzio un dolore

forte, assordante che i loro compagni non ascoltano.


Non hanno la capacità di ascoltare, di entrare in relazione se non con quella modalità, alla

quale la donna inevitabilmente si aggancia con tutta sè stessa, in attesa della prossima

"dose".

Si tratta molto spesso di donne perché viene alla mente che la componente affettiva in

questa manifestazione appartiene molto di più alla sfera femminile anche per ragioni

culturali. Le donne, infatti, sono invitate ad assumere tutta una serie di atteggiamenti in

sintonia con l'affettività, la comprensione dell'altro, l'essere materno, il sacrificio. Viene

dato loro un messaggio di invito alla dedizione, perché altrimenti non sarebbero delle

brave donne e delle bravi madri ( Introietti).


La dipendenza affettiva, inizia dove finisce la capacità di vivere il rapporto di coppia come

un flusso costante tra momenti di una sana appartenenza e di differenziazione; quando

all'Altro non è più lasciata la possibilità di auto-regolarsi, ma è costretto ad assumere un

ruolo o un impegno, quando l'amore non è più fonte di arricchimento e di nutrimento

reciproco, ma è una compensazione di qualcosa che supplisce il senso di vuoto, le paure

ed i bisogni, rendendo così il rapporto non più un incontro tra due anime, ma una

situazione di co-dipendenza, ovvero una limitazione reciproca.


Ma.... è meraviglioso quando timidamente chiamano, prendono un appuntamento ed inizia

in loro a maturare l'idea di una voglia di un distacco che non significa distacco fisico dalla

loro relazione, ( anche se nella maggior parte dei casi succede proprio questo ), ma distacco

emotivo ed un cammino verso la loro forza e la loro bellezza e soprattutto verso una nuova

consapevolezza ed un nuova autonomia.


Non è un cammino ed un percorso semplice, chi lavora nelle relazioni d'aiuto sa che ci

vuole un grande Holding per stare con loro ed è necessario creare insieme una sana

relazione, un sano appoggio, il ground, dove la Persona può di nuovo iniziare a

sperimentare sè stessa, i suoi bisogni e fare della sua vita una vera e propria opera di

trasformazione, dove il senso di inferiorità nel tempo si attenua, la paura della solitudine

diventa una voglia consapevole di stare con sè stesse, ed il mostrarsi per come si è davvero

non è una vergogna ma una forma bella di stare nel mondo.


Come donna e come terapeuta credo sia necessario rimandare e promuovere la positività

del cambiamento e che la sofferenza ha comunque un valore che richiama il mutamento

ed il movimento ed è una spinta essenziale nella vita senza la quale non si può operare

alcun cambiamento.


Il dolore personale è vero che porta alla crisi, ma a sua volta ha in sé numerose nuove

risorse per la persona, dando diverse possibilità. La Persona può piano piano comprendere

che può e deve disabituarsi al dolore, crede di amare profondamente, ma in realtà non è

amore, poiché l'amore è uno scambio di gioia e di presenza attiva reciproca.


E' necessario vivere nella realtà, abbandonando forse l'idea del bacio del principe azzurro

che salverà la principessa dalla morte e dalla desolazione ed è salutare in alcuni casi la

consapevolezza del saper dire "no" o il " basta davvero". E' forse arrivato il momento di

educare all'affettività in maniera costruttiva ed insegnare un'immagine della donna, anche

alla donna, che probabilmente si deve allontanare da quella che ci appartiene come

un'etichetta sulla fronte, solo per il fatto di essere Donne, e che ci viene rimandata da forse

troppo tempo.


Il cambiamento porterà nel tempo ad una nuova «modalità nell' essere Intimi» senza però

perdere la propria individualità, la propria autonomia, a conoscere cosa si sente e cosa si

prova, ad ascoltare le proprie sensazioni ed attribuire un senso ai propri vissuti, ad una

sana condivisione ed accettazione dell'Altro e di loro stessi.

Un' accettazione di una soggettività diversa dove esprimere la gioia del donarsi, del

lasciarsi andare e dell'esporsi all'Altro senza il timore del rifiuto per poter creare insieme

con l'Altro un ponte fatto di fiducia ed appartenenza che permettono un abbraccio

reciproco, libero ed autentico.


« Se ami saprai che tutto inizia e tutto finisce e che c'è un momento per l'inizio ed un

momento per la fine e questo non crea una ferita. Non rimani ferito, sai che quella

stagione è finita. Non ti disperi, riesci a comprendere e ringrazi l'altro: Mi hai dato tanti

bei doni, mi hai donato nuove visioni della vita, hai aperto finestre nuove che non avrei

scoperto da solo. Adesso è arrivato il momento di separarci, le nostre strade si dividono.

Non con rabbia, non con risentimento, senza lamentele e con infinita gratitudine, con

grande amore, con il cuore colmo di riconoscenza. Se sai come amare, saprai anche come 

separarti.  (OSHO) 


Dott.ssa Emanuela Venanzoni (PsicologON